domenica 28 novembre 2010

Capitolo 4

   Ennesimo rifiuto.
   Ennesimo rifiuto.
   Ennesimo rifiuto.
   Vincenzo stropicciò la lettera e la gettò via.
   Si alzò dal divano avvicinandosi al tavolo del soggiorno. Prese una cartellina e la aprì. Una foto e un foglio con delle istruzioni. Un nickname, un personaggio fittizio, un autore da demolire, i nomi degli altri membri del gruppo d’assalto, le strategie e le tecniche di manipolazione.
   Tutto molto semplice.
   Finalmente, la regina aveva deciso di passare alla fase due del progetto. La demolizione della reputazione e del talento degli scrittori che non scrivono degnamente. La distruzione artistica di tutti quelli che non rispettano le regole del manuale. L’annichilimento di chi si contrappone all’arte visiva, all’immagine, a ciò che conta più di ogni altra cosa nell’intrattenimento: l’occhio dell’arte.
   Noi non vogliamo bocche che raccontino, che riassumano, che condensino, che riducano le nostre percezioni. Noi vogliamo altri occhi per guardare, occhi che descrivano e non spieghino, che lascino a noi il compito di spiegare ciò che essi ci mostrano. Noi vogliamo che questa nostra esigenza si erga a legge universale, che si trasformi come un marchio indelebile sulla carne dell’arte.
   Show, don’t tell.
   L’unica tecnica e l’unica scelta.
   Nessuna possibilità di ibridi, nessuna libertà artistica.
   La merda è merda.
   Vincenzo prese il portatile e andò a sedersi sulla poltrona. Posizionò il PC sulle gambe. Allungò la mano sinistra verso il pavimento, a cercare qualcosa. Un casco nero oblungo con una visiera a scacchi. Lo indossò con aria divertita.
   Lo spettacolo ha inizio.

    




domenica 21 novembre 2010

Capitolo 3

Le persiane abbassate a metà impedivano alla luce del sole di rischiarare l’interno della stanza. Un’ombra invadente distendeva le sue fila lungo le pareti bianche.
   Luana, attorniata da alcune sedie pieghevoli di plastica, si muoveva avanti e indietro, scalciando i piedi con micromovimenti impercettibili. I suoi discepoli seduti sulle sedie attendevano istruzioni in religioso silenzio.
   I ricordi delle letture dell’adolescenza assalirono la sua mente. I soprusi degli scrittori la tormentavano ogni notte. Schegge di metallo intinte d’inchiostro a buon mercato. Parole deformi, mani tozze e nere, avverbi sdentati, aggettivi roventi, metafore morbose, similitudini come acqua gelida.  
   Luana si fermò. Piegò all’insù gli angoli della bocca. Aprì la busta che stringeva in mano. Estrasse delle foto, ognuna delle quali aveva un foglietto attaccato con delle graffette. Si diresse verso il centro del cerchio. Guardò negli occhi ognuno dei presenti. Futuri scrittore forgiati dal marchio del manuale e della tecnica.
   “Adesso è giunto il momento tanto atteso. Siete dentro o siete fuori?”
   Ognuno dei discepoli si alzò dicendo “Dentro!” e si sedette ai suoi piedi.
   Luana alzò le mani in alto, distendendo le dita a colpire qualcosa dell’atmosfera semioscura della stanza.
   “Andate, sapete cosa fare”.
   I discepoli si alzarono e uscirono in fila indiana. Un lungo tentacolo che iniziava a serpeggiare fuori dalla tana.


martedì 9 novembre 2010

Capitolo 2

Vincenzo stringeva una birra gelata, seduto sulla poltrona del soggiorno. La tv trasmetteva “giochi al potere” un nuovo reality, un format svedese adattato al contesto moralmente abbietto dell’Italia.
   “Non posso crederci. Ci sono cascati anche loro. Anche loro credono che sappia scrivere” disse al vuoto del soggiorno.
   Bevve un sorso.
   “Merda!”, prese il telecomando da sotto il sedere è aumentò il volume.
   “Molti credono che per pubblicare bisogna avere delle conoscenze. La classica raccomandazione che sovrasta sovrana la nostra società a qualsiasi livello. Tutte stronzate, se mi si consente il termine. Chi riesce ad ottenere un contratto con una, diciamo, grande casa editrice, ha lavorato sodo e duramente per anni per vedere riconosciuto il suo valore”.
   “Quindi, lei, sostiene che non esistano raccomandazioni in senso assoluto?”
   “Certamente. È ovvio che in alcuni casi, diciamo, relativi può esserci uno scambio di… cortesia? Favori? È ciò è riprovevole. Ma far diventare questo malcostume una legge universale, bè la trovo, onestamente una idiozia. Purtroppo in questo paese, la consuetudine diventa legge non scritta. Di conseguenza anche le abitudini mentali.”
   Vincent piegò le labbra verso l’alto. Bevve un altro sorso. “Divertente!”
   “L’ultimo mio libro chiude il cerchio. In origine la storia doveva uscire in un unico volume, ma…”
   “Il vile denaro ha avuto la meglio…” disse Vincenzo.
   Spense la tv e scagliò il telecomando sul pavimento. “Maledetta scatola magica. Una casa per tossicodipendenti. Un posto sicuro dove spacciare le proprie idee virali”.
   Solo internet poteva funzionare come antidoto. Purtroppo i virus della menzogna stavano contagiando la rete. Ed erano più forti perché avevano relazioni con il potere.
   Bevve un altro sorso di birra. Si portò le mani ai lunghi capelli. Posò la birra sul pavimento e con le mani si strinse le tempie.
   Una lettera di metallo luccicante. Piccoli spruzzi di sangue marcio alla base della lettera. Una città. Piccoli palazzi. Stormi di corvi. La torre. La prigione nera del suo cuore. Poi tutto diventa ingombrante. La torre slabbra le sue fondamenta. La punta si piega e si contorce piegandosi verso la sinistra del paesaggio. I palazzi divorano lo spazio. Le mura. Le terrazze. I portoni. Uno sciame di ragazzini dalle labbra tese in sorrisi alla joker prorompono come un fiume in piena. Hanno tatuata sulla fronte la lettera. Sangue e metallo. E lui, Vincenzo, si trova al centro, circondato. I corvi scendono in picchiata e le loro teste si trasfigurano. Hanno il suo viso. Il viso dello scrittore della lettera. Sangue rosso cola dalle sue mani. Vincenzo abbassa lo sguardo. Non ha più le mani. Le risa dei corvi invadono la sua mente.
   Si alzò dalla poltrona, scattando ad un ordine interiore. Solo io so. Solo io sono consapevole di cosa causano le sue menzogne. Solo io conosco il marcio e l’orrore. Solo io lo porto in fondo al cuore.
   Si diresse verso la parete alla sua destra. Una serie di fotografie, appese con del nastro isolante, decoravano il muro. Lo scrittore dell’incubo che riceveva premi e riconoscimenti. Lo scrittore dell’incubo in primo piano, sorridente e soddisfatto. Lo scrittore dell’incubo con in mano il suo romanzo.
   Vincent staccò una freccetta da tirassegno dal muro. Fece qualche passo indietro, prese la mira e lanciò. La freccia colpì il bersaglio. La mano sinistra dello scrittore dell’incubo.
   “Colpito! Ti rimane poco, da scrivere. È ora del collegamento”.





mercoledì 3 novembre 2010

Capitolo 1

   Andrea si disconnesse. Abbassò il monitor del portatile e appoggiò i gomiti sulla scrivania. La mano sui capelli radi. La calvizie stava facendo il suo lavoro. Rivolse lo sguardo fuori dalla finestra. Una lunga distesa di montagne faceva da sfondo ad un piccolo agglomerato di case dai mattoni rossi e dai tetti a spiovente. Quella vasta linea che arginava la sua vista aveva il potere di nutrire la sua immaginazione. Al di là delle montagne poteva esserci qualsiasi cosa.
   La sua arte era una pervicace lotta contro le barriere architettoniche della natura e della realtà. Lui era l’artefice, l’agente della libertà, della fuga dalla prigione. Lui era l’artefice dell’amalgama, dell’alchimia tra caos e ordine, tra immaginazione e realtà. Lui conosceva la Verità.
   Molti, però, non erano ancora pronti per recepire il suo messaggio, il senso ultimo trasfigurato nel verbo delle sue opere.
   Andrea si alzò e spinse con forza la sedia. Un rumore stridente invase la solitudine della sua camera.
   La presentazione del suo ultimo romanzo era stata un’esperienza devastante. I lettori, a migliaia, chiedevano, pretendevano spiegazioni, facevano domande, lo tallonavano. Sul perché questo e sul perché quest’altro. Lo interrogavano sul testo!
   Il messia legge il verbo agli apostoli, silenziosi e ubbidienti. Le sue parole entrano nelle loro menti ed essi con spirito recettivo accolgono e percepiscono la Verità. Il senso ultimo e originario degli esseri viventi. Cazzo, è così che doveva andare!
   Fortunatamente esistevano ancora sparuti gruppi di lettori intelligenti e sensibili, che apprezzavano e idolatravano le sue opere. Una razza in estinzione. Poi c’erano gli indifferenti, i lettori che più di tutti stimava; quelli che mi piace, non mi piace. Quelli che lo lasciavano libero di esprimersi.             
   La lotta contro l’immaginario collettivo si faceva ardua e pericolosa perché un nuovo fattore si aggiungeva all’ostilità dei lettori. Forse questa ostilità era dovuta dall’irruzione cruenta e spietata di questo nuovo fattore. Il fattore tecnica. La nuova Bibbia. Il testo rosso. Metafora del totalitarismo a cui si voleva ricondurre definitivamente la creatività dell’essere umano. Tecnica ed esigenze di mercato.
   Ogni lettore portava sulla mano destra un manuale di tecnica. Leggeva e scriveva. Imparava. Si poneva delle domande e trovava le risposte sul manuale. Ogni lettore era efficiente. Ogni lettore era scrivente.
   Li poteva contare uno ad uno. Macchine impazzite con in mano il loro libretto d’istruzioni. Macchine con la bocca storpia che urlavano, digrignavano i denti, in un sordo rumore metallico, che sollevavano il braccio in alto e scagliavano il manuale contro di lui. Poi dal palmo della mano partorivano altri manuali da scagliare contro lo scrittore. Ripetendo il gesto all’infinito.
   Tuttavia, i manuali avevano dimenticato di riportare un elemento decisivo per l’alchimia: il talento.
   Un romanzo senza talento è come un essere umano senza anima.
   Andrea lo sapeva: “C’è una guerra in atto. È questa guerra riguarda tutti noi”.
   Trascinò la sedia verso la scrivania, alzò il monitor del portatile e si connesse alla rete.