Le persiane abbassate a metà impedivano alla luce del sole di rischiarare l’interno della stanza. Un’ombra invadente distendeva le sue fila lungo le pareti bianche.
Luana, attorniata da alcune sedie pieghevoli di plastica, si muoveva avanti e indietro, scalciando i piedi con micromovimenti impercettibili. I suoi discepoli seduti sulle sedie attendevano istruzioni in religioso silenzio.
I ricordi delle letture dell’adolescenza assalirono la sua mente. I soprusi degli scrittori la tormentavano ogni notte. Schegge di metallo intinte d’inchiostro a buon mercato. Parole deformi, mani tozze e nere, avverbi sdentati, aggettivi roventi, metafore morbose, similitudini come acqua gelida.
Luana si fermò. Piegò all’insù gli angoli della bocca. Aprì la busta che stringeva in mano. Estrasse delle foto, ognuna delle quali aveva un foglietto attaccato con delle graffette. Si diresse verso il centro del cerchio. Guardò negli occhi ognuno dei presenti. Futuri scrittore forgiati dal marchio del manuale e della tecnica.
“Adesso è giunto il momento tanto atteso. Siete dentro o siete fuori?”
Ognuno dei discepoli si alzò dicendo “Dentro!” e si sedette ai suoi piedi.
Luana alzò le mani in alto, distendendo le dita a colpire qualcosa dell’atmosfera semioscura della stanza.
“Andate, sapete cosa fare”.
I discepoli si alzarono e uscirono in fila indiana. Un lungo tentacolo che iniziava a serpeggiare fuori dalla tana.
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