domenica 12 dicembre 2010

Capitolo 6

   La parola chiave della ribellione: consapevolezza. Il verbo forgiato sulla sottile membrana del suo cervello. Come un vecchio film in bianco e nero riecheggiavano nella sua mente le parole di Burroughs: “Uno scrittore può scrivere soltanto di una cosa: di quello che c’è davanti ai suoi sensi al momento di scrivere… sono uno strumento di registrazione… Non presumo di imporre una “teoria”, una “trama”, una “continuità”… Finchè riesco a registrare direttamente certe aree del processo psichico posso avere funzioni limitate… il mio obiettivo non è quello di intrattenere…”.
   Inaccettabile.
   Era stata consapevole fin dall’inizio della sua meta. Educare alla buona scrittura. Alle buone storie. Scrittori come Burroughs erano i nemici. L’altra specie. Quelli che la tecnica è il nemico.
   Guardate cosa c’è sulla punta della forchetta: merda spacciata per un buon pasto. La loro scrittura è nuda, capace di produrre solo escrementi.
     “Dovevi avere più consapevolezza. Hai sottovalutato i tuoi discepoli”. Martin poggiò il bicchiere di Rhum sul tavolo.
    Luana tornò a concentrarsi sul discorso del suo ospite: “Ci sono sempre dei rischi. C’è sempre gente sopra le righe. Ho calcolato tutto”.
   Martin fece un cenno al cameriere, “Un altro”.
  Osservò il locale. I suoi discepoli erano chini sui propri taccuini. Gruppi di cinque persone intenti ad applicare regole e concatenare parole da sottoporre alla loro regina.
   Il suo laboratorio di scrittura.
   Martin si chinò in avanti, a qualche centimetro dal viso di Luana: “Forse, non hai capito bene il problema. La tua feroce ironia ha dato di testa a qualcuno. Sai di chi parlo. Se non sbaglio il tuo progetto era quello di svelare alcuni altarini e dare consigli utili agli aspiranti. Ma… da un certo punto di vista, qualcuno ha sbroccato”.
   Lei prese il succo all’ananas e bevve un sorso.
   “Cioè, qui non si tratta più… be’ ho l’impressione che si sia varcata la soglia”.
   Luana posò il bicchiere, si passò una mano sul labbro: “Stai subendo l’influenza del nemico, Martin. Qui non c’è nessuna guerra in atto. Qui si tratta solo di scrittura. Ci sono solo delle buone intenzioni e consigli per far risparmiare denaro ai lettori”.
   Martin prese dal tavolo una sigaretta. L’accese. Un respiro profondo. Un’espirazione densa di sgomento.
   “No, Luana. Ti sbagli. Io sono stato un tuo grande sostenitore e anche un sostenitore della libera scelta sia dello scrittore che del lettore. Sul mio blog sono riuscito a discernere tra una buona critica, proposte di letture e attacchi personali e mirati. Ho saputo differenziare tra anime di buona volontà e anime dannate. Io, al limite,  distribuisco consigli non impongo. Invece, il tuo marchio è diventato una spada di Damocle sulla capoccia degli scrittori. E il tuo blog si è trasformato da un porto per aspiranti scrittori e lettori in cerca di letture utili e interessanti ad una meta per boia e pseudo scrittori falliti. Si stanno creando fazioni e risentimenti razzisti anche verso alcuni tipi di lettori”.
   Luana chiuse le mani. Strinse forte. Le lunghe unghie a scalfire la sua pelle. Sbatté i pugni sul tavolo. Gli aspiranti smisero di scrivere e il locale si bloccò sospeso tra il fumo e l’opaca illuminazione.
   “Adesso basta. Io non nascondo nessun interesse in quello che faccio. Non ti permetto di accusarmi di nessun tipo di frustrazione. Le tue sono solo paranoie dettate dal tuo fallimento come blogger. Sono le tue recensioni, infarcite di stronzate ad annoiare i lettori. Sei tu che aspiri. Se non ricordo male, tu sei quello che un tempo scriveva racconti sperando in una pubblicazione. Io non ho mai avuto aspirazioni in tal senso”.
   Martin si alzò. Spostò la sedia e raccolse il suo pacchetto di sigarette. Fini il suo Rhum.
   “Luana, mi dispiace. Ho capito che hai già fatto la tua scelta. Speravo in una tua…  pazienza. Ci tengo a precisare che sei sceso allo stesso livello del tuo nemico: la diversità è invidia”.
   Lei spinse il tavolo colpendo Martin alla coscia.
   “Basta! Non ti permetto di offendermi in casa mia. Sparisci”.
   Martin mentre si palpava la gamba ferita, fece un inchino e sparì, lasciando dietro di sé una striscia di granuli di pixel.
   Luana rivolse lo sguardo ai tavoli. I suoi discepoli la osservavano con occhi sbarrati e scintillanti. La regina si portò la mano al cuore. “Show, don’t tell!”. Loro avvicinarono le mani al cuore e ricambiarono all’unisono: “Show, don’t tell!”.
   
   Vincenzo, con la mano al cuore, accanto ad alcuni fedelissimi, sorrise socchiudendo gli occhi. “Show, don’t tell or die”. Sulla punta della forchetta c’è solo merda.    

3 commenti:

  1. Bravissimo, sei meglio di GL!

    Il personaggio che preferisco è senz'altro Vincenzo. Se posso permettermi di muoverti una critica, ci sono un paio di cose che stridono con l'idea che mi sono fatta di lui (perdonami, ma il personaggio mi ha colpita a tal punto che mi sembra di conoscerlo da una vita):

    - Il discorso economico. Secondo me Vincenzo è uno che guadagna molto di più di questo tale scrittore Andrea. In più, essendo pagato con soldi ministeriali, semmai è lui a fregarsi i risparmi di Andrea.

    - La poltrona. In casa di Vincenzo non se ne tengono, perché quando gli prendono le crisi strapperebbe l'imbottitura a morsi.

    - La TV. Un tipo così bello e affascinante non se ne sta in poltrona a bere birra e guardare la TV! Un tipo come Vincenzo come minimo scruta nello specchio del Demone Oracolo sorseggiando un barolo attoscato con una punta di cianuro (adora il mandorla amaro).

    - Il nome Vincenzo. Non mi piace per niente perché conoscevo un ritardato grave che si chiama così, ma vabbe', quelli son gusti personali.

    Complimenti ancora, non vedo l'ora di leggere il resto!

    Amanda

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  2. @ Amanda/ vincenzo?

    - il discorso economico è un'alibi. (lo sai bene. Maledetti venti euro!)

    - Conosco persone che adorano riflettere seduti sulla loro poltrona. D'altronde Vincenzo divora già lo scrittore andrea. Ha un gusto molto più dolce dell'imbottitura della poltrona.

    - Guarda la tv. Magari è spenta.

    - Io conoscevo un tizio di nome Alessandro. Forse era più grave di Vincenzo.

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  3. Dai su, corri a scrivere invece di perder tempo, che vogliamo tutti sapere cosa farà Vincenzo!

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